Come Football Manager è diventato Football Manager
Come Miles Jacobson ha trasformato un videogioco in una grande narrazione sportiva contemporanea.
Per il nono anno di seguito, il manageriale calcistico Football Manager riesce a fare meglio dell’edizione precedente. Oltre ad aver agevolmente conquistato la vetta di gioco più scaricato su Steam (il più popolare servizio di digital delivery per videogiochi PC) nella settimana d’uscita, Football Manager 2019 è l’episodio della serie che ha venduto più copie al lancio. Un risultato importante, che apre le porte a una cavalcata che ragionevolmente supererà il milione di copie vendute ancora una volta.
Uno sproposito per un videogioco che si rivolge a un pubblico molto specifico, che non è disponibile su piattaforme diffuse come le console e che richiede molta pazienza per essere compreso. Il motivo del successo, alimentato da una fan base in perenne crescita, è quello di essere diventato probabilmente una delle narrazioni sportive contemporanee più affascinanti, e la storia di Sports Interactive, software house londinese che sviluppa il gioco, è anche il racconto di come calcio, tecnologia e videogiochi si siano profondamente legati negli ultimi venticinque anni.
Da Championship Manager a Football Manager
È il 1993 quando André Villas-Boas, sedicenne di Porto, infila sotto la porta di Bobby Robson la lettera sull’utilizzo non esemplare della punta Domingos Paciência. Con quegli appunti non si conquista soltanto la possibilità di diventare allenatore professionista, ma contribuisce a cambiare inconsapevolmente la storia del rapporto tra tecnologia e calcio. Tutta la conoscenza del giovane che aspirava a diventare, in realtà, giornalista sportivo, arriva dall’osservazione e dai videogiochi.
Uno in particolare, Championship Manager, manageriale sviluppato da Paul e Oliver Collyer, due fratelli dello Shropshire che, annoiati dalla vita rurale e dall’impossibilità di seguire la cronaca delle partite sul televideo per scarsità di segnale, si sono creati il loro piccolo mondo virtuale su misura. La storia di Villas-Boas è ormai quasi una leggenda e si intreccia con quella di un’altra lettera, inviata qualche mese dopo ai due fratelli autori del gioco, per colpa dei Blur.
Due colleghi dei fratelli Collyer desiderano assistere a una data del tour di Parklife, ma i biglietti sono introvabili. Tramite fax, l’azienda contatta l’ufficio stampa dell’etichetta Food Records, dove lavora come A&R Manager un ragazzo di ventidue anni di Watford, tifosissimo della squadra locale e avido giocatore di Championship Manager, Miles Jacobson. Da lì parte un carteggio serrato nel quale Jacobson in cambio dei biglietti per il concerto si fa promettere una copia anticipata di Championship Manager 2, titolo in fase di sviluppo, e invia ai due fratelli una lunga e dettagliatissima missiva di feedback, per sua stessa ammissione “fra il costruttivo e il tremendo”. Lo scambio di fax diventa una serata al pub, dove i due fratelli propongono una collaborazione part-time all’incredulo Jacobson, che accetta immediatamente.
Per otto anni Miles Jacobson diventa il consulente esterno più importante di Sports Interactive, azienda formalizzata proprio nel 1994, con sede a Islington, il quartiere londinese dell’Arsenal. Anno dopo anno, Championship Manager si è consacrato come brand di successo, con i Collyer sempre più impegnati nel solo sviluppo e Jacobson oramai fondamentale per la visione di insieme dello studio. Il passo successivo, nei primi anni del nuovo millennio, è proprio quello di affidargli il ruolo più importante, quello di direttore, e permettergli, finalmente, di sedere in panchina (sul suo profilo Twitter, prima di tutto si definisce “gaffer” di Sports Interactive, che nello slang British equivale al nostro “mister”).
Il primo vero problema per Jacobson è quello di gestire la separazione dall’editore, Eidos Interactive, con conseguente perdita del brand. Succede quando sei ambizioso e non senti la fiducia di chi ti affida dei soldi da investire. È ancora più frequente quando sai di essere l’unico in grado di raggiungere certi obiettivi e vuoi più controllo sulla tua creatura, anche in uno scenario generalmente scoraggiante. In piena fase produttiva del capitolo 2005, dunque, sulla lista delle cose da fare contestualmente allo sviluppo, compaiono tre punti non banali: trovare un nuovo nome, stringere un accordo con un altro editore, evitare che la situazione economicamente incerta faccia fuggire i membri del team.
«La realtà è che a nessuno importava. Tutti sapevano cosa stava succedendo. Nello studio eravamo in venticinque a lavorare sul gioco e ci siamo detti: “È la cosa giusta da fare, vogliamo restare tutti insieme”». Jacobson è consapevole di aver costruito una squadra nel senso stretto del termine e l’unità di intenti inizia a dare i suoi frutti. Le offerte da altri studi diventano un inner joke in ufficio, le chiamano “the call” (la chiamata) e sono derubricate come aneddotica da pausa pranzo, un intermezzo divertente prima di tornare a lavorare sul gioco senza nome, provandogli a dare una nuova identità senza però perdere lo zoccolo duro dell’utenza.
«Era un po’ come se i The Beatles avessero cambiato nome nei The Turtles, con i The Beatles che continuavano a suonare con una formazione diversa» è la metafora con cui Jacobson ripercorre le sensazioni di quel momento storico e rende perfettamente la situazione paradossale e pericolosa in cui si trova lo studio londinese. Per la nuova era tra i titoli che rimbalzano nell’ufficio c’è Football Manager, un nome che suona bene, forse un po’ didascalico, ma ancora più diretto del precedente. C’è, tuttavia, un piccolo dettaglio da chiarire: si tratta di un marchio già registrato. La logica comune avrebbe a questo punto consigliato di cambiare strategia, ma una storia straordinaria non si scrive senza un pizzico di follia e Alex Chapman, legale dello studio, consiglia a Jacobson di provare a fare un tentativo per un’offerta d’acquisto. «È di sicuro la cosa più costosa che abbia mai acquistato» racconterà anni dopo Jacobson.
Con un titolo, un gioco in divenire e un conto in banca meno florido, trovare un editore diventa fondamentale. Per farlo, Jacobson trascorre qualche serata a cena con CEO di diverse aziende, con il suo approccio schietto e diretto. «Ero stato invitato a casa del CEO di un grande publisher internazionale e sua moglie preparò una cena fantastica. Ho pensato che fosse un po’ strano che non avesse cucinato lui, perché a casa mia sono io che preparo da mangiare. Sua moglie, in ogni caso, cucinava davvero bene, e abbiamo parlato per tutta la cena, dove finisco per rivelare un sacco di informazioni su di me. Ho scoperto una settimana dopo che non erano interessati per nulla, e tutto quello che volevano ottenere era la nostra roadmap. Se mi avessero fatto una telefonata, gliel’avrei data senza problemi, non c’era bisogno di una cena».
Miles Jacobson non si scoraggia, e questo episodio serve ad arrivare più preparato all’incontro con il CEO di SEGA, Naoya Tsurumi. Mentre degustano un curry, con una mossa da film, Tsurumi-san scrive sul tovagliolo un’offerta di acquisizione. «Continuavo a dirgli che non eravamo in vendita. Gli ho risposto che secondo me sarebbe servito almeno il doppio solo per sedersi al tavolo a discutere con Paul e Ov Collyer». Qualche mese dopo SEGA annuncia l’acquisizione di Sports Interactive, ed è lì che comincia il vero regno di Miles Jacobson.
Jacobson è davvero stronzo come sembra?
Championship Manager diventa ufficialmente Football Manager, e si compie quel processo di convergenza tra tecnologia, cultura e calcio inconsapevolmente anticipato dalla lettera di Villas-Boas. Nonostante il cambio di nome, il pubblico riconosce l’ottimo lavoro di Sports Interactive: nel giro di due edizioni Football Manager rompe ogni record di vendita precedentemente raggiunto nell’era Championship Manager. Al successo contribuisce il passaparola tra gli utenti, il marketing diretto rivolto ai giocatori del vecchio Championship Manager, ma sorprendentemente anche l’iniziativa dei negozianti: «Mi feci un giro da HMV a Oxford Street il giorno dell’uscita del gioco e notai un adesivo sulle copie del gioco con scritto: “È il nuovo Champo”. Era opera dei commessi del negozio».
Jacobson vive da sempre il suo lavoro come un allenatore integralista e appassionato la cui massima ambizione è essere seduto sul divano a guardare le partite mentre gioca proprio a Football Manager. Per molti è burbero, scontroso, e su Reddit c’è una discussione dedicata a lui intitolata “Is Miles Jacobson as much of a dick as he comes across?” (Miles Jacobson è davvero così stronzo come sembra?), ma basta seguire il suo profilo Twitter per rendersi conto di una semplice regola: “I treat people as they treat me” (Tratto le persone nello stesso modo in cui trattano me). Peccato che i fan di Football Manager siano fra i più appassionati tifosi e videogiocatori sulla faccia della terra, un’intersezione di pubblico competente ed esigente, che sa essere incredibilmente tossica, soprattutto sui social.
Se per molti sviluppatori di videogiochi questo è un problema, Jacobson risponde a tono e va per la sua strada. Una via lastricata d’oro e successo, ma soprattutto di una moneta molto più preziosa: credibilità e riconoscimento. Sotto la sua gestione Football Manager diventa un’icona pop, vendendo complessivamente oltre diciotto milioni di copie, e riceve finalmente l’endorsement del calcio reale. Sia sotto il profilo commerciale, con le sponsorizzazioni di Wimbledon (dal 2002), Watford (dal 2010) e Bayer 04 Leverkusen (da quest’anno), oltre che Enfiled Town e Q.P.R. Femminile, sia soprattutto dal punto di vista della “certificazione” di qualità.
Uno dei primi a riconoscere il ruolo di Football Manager come strumento utile alle società calcistiche è, chiaramente, André Villas-Boas, che ha mantenuto le sue buone abitudini da teenager e nel suo periodo come capo degli osservatori al Chelsea, sotto la gestione Mourinho, ha ammesso di aver utilizzato il gioco per studiare alcuni giocatori. Nel 2013 Ole Gunnar Solskjaer ha dichiarato che Football Manager è stato fondamentale nel comprendere le dinamiche della vita di un allenatore e nel completare la sua trasformazione da calciatore a manager. La stessa storia è stata raccontata, quest’anno, da Joey Barton, che si è preparato proprio con il videogioco di Sports Interactive per la sua avventura da manager in League One nel Fleetwood Town (cominciata con una sconfitta di misura proprio contro il Wimbledon, sponsorizzato da Sports Interactive).
Il mondo del calcio ha metabolizzato Football Manager, tanto che tra gli utenti invitati a testare il gioco in anteprima ci sono oltre mille addetti ai lavori, ma la realtà empirica ne conta ovviamente molti di più. Ha perfettamente senso, anche solo per avere accesso e studiare il database del gioco, curato da migliaia di appassionati osservatori sparsi in tutto il globo che seguono nel dettaglio un numero impressionante di calciatori.
«Siamo un’azienda che si occupa di calcio. Non si tratta solo dei contratti di sponsorizzazione; le squadre di calcio comprano i nostri dati. Facciamo conferenze sul calcio, posso andare tranquillamente a vedere gli allenamenti di diverse squadre di club europee avvertendo solo la sera prima. Ho vissuto la chiusura del calciomercato nella sede di alcune squadre per capire come funziona, parlo in continuazione con i procuratori. Il nostro business è il calcio e sviluppiamo videogiochi». Parla così, oggi, Jacobson, che non ha problemi a giocare a carte scoperte: il fulcro della sua visione è proprio gestire Sports Interactive come una società sportiva.
A differenza di altre software house in Sports Interactive non c’è un ricambio così elevato nel personale, e anche in seno a un gigante come SEGA, la filosofia dell’azienda è rimasta quella di una famiglia appassionata, nonostante sia attualmente uno degli studi di sviluppo londinesi più importanti e conti più di cento impiegati. Alla base dell’azienda c’è proprio l’integralismo di Jacobson, che da buon maniaco del controllo, mantiene il team unito con dedizione e follia. Un perfezionismo che lo vede, ogni Natale, effettuare un turno di sei ore al servizio clienti perché è quello il momento di picco di vendite, o che gli impone, ogni luglio, di mettere alla frusta la nuova versione del videogioco per stilare una lista di implementazioni da fare nel futuro.
Football Manager e il reale
In questa lista ci sono finite la sentenza Bosman, la Brexit, l’omosessualità, i cavilli contrattuali e tutti i fenomeni di attualità calcistica che raccontano e, a volte, anticipano la contemporaneità. Tutti aspetti che nel corso del tempo sono diventati la normalità per milioni di allenatori virtuali e che contestualmente hanno migliorato la loro conoscenza del calcio reale. Nell’edizione di quest’anno, per esempio, i sistemi tattici vanno ben oltre i numeri, con i moduli che contano meno a favore dei principi tattici da applicare in fase di possesso, senza palla e in transizione, in maniera tale da avvicinare il linguaggio del gioco alle idee di calcio più attuali.
Allo stesso modo, gli allenamenti seguono finalmente uno schema più verosimile, nel racconto delle partite è previsto anche il VAR e, insieme alla sponsorizzazione del Bayer Leverkusen, sono arrivati finalmente i diritti della Bundesliga. Quando Jacobson dice: «Ne abbiamo fatta di strada. Dopo ventisei anni di esperienza, si tratta senza dubbio della migliore versione di Football Manager di sempre. Siamo sempre stati bravi nel nostro lavoro. A volte addirittura brillanti, ma quest’anno siamo stati davvero eccezionali», non sta solo rispondendo a una strategia di comunicazione necessaria a promuovere il gioco. D’altra parte non ne ha esattamente bisogno. La cifra stilistica del suo modo di porsi con il mondo e la stampa non contempla le parole di circostanza e nemmeno la falsa modestia.
Il sindaco di Londra, Sadiq Khan, ha avuto modo di avere un saggio della determinazione di Jacobson durante la sua campagna elettorale. L’occasione è quella di una visita del politico britannico ai vecchi uffici di Sports Interactive, a Old Street, in quella che nel corso degli anni è diventata una sorta di piccola Silicon Valley nel cuore di Londra. L’estrema rivalutazione dell’area al confine tra Islington e Shoreditch ha però triplicato i prezzi degli affitti, costringendo Sports Interactive a valutare di abbandonare la storica sede.
Per questo motivo, la visita di Khan diventa una vera e propria opportunità che Jacobson non si lascia sfuggire. Dopo l’incontro, in maniera che lui stesso non ha problemi a definire “sfacciata”, invia una sorta di ultimatum all’ufficio dell’aspirante sindaco, proponendo tre soluzioni al problema degli affitti: «La prima è che ci spostiamo a Watford e voi annettete Watford in maniera che rimaniamo uno studio con sede a Londra. La seconda è che non saremo più un’azienda londinese. La terza è che potete aiutarci a trovare un nuovo ufficio». Anche questo azzardo gli riesce e il gabinetto di Kahn propone a Sports Interactive tre progetti di riqualificazione urbana a cui la software house è invitata a partecipare, tra cui spicca quello del Villaggio Olimpico di Stratford, che diventa sede dei nuovi uffici dell’azienda.
Il nuovo spazio, in un complesso con vista sull’Olympic Stadium, si prepara ad accogliere un nuovo ciclo per lo studio, definita da Jacobson come la sua terza fase di vita, dopo gli albori di Championship Manager e la realizzazione di Football Manager. Una nuova era che arriva presentando nuove sfide, in cui anche il ruolo di Jacobson cambierà necessariamente. L’allargamento dello studio ha portato all’assunzione di un COO (capo delle operazioni), Matt Carroll, ex Disney, che affiancherà Jacobson nella gestione delle attività. «Tendo a essere iperattivo, e sono famoso per arrabbiarmi di tanto in tanto. Da quel punto di vista ho diversi alti e bassi, mentre Matt è sempre quello più calmo in ufficio», ammette con la sua consueta schiettezza, la stessa che gli permette di guardare con estrema chiarezza al futuro: «Non abbiamo ancora finito. Vogliamo ancora fare il miglior videogioco di sempre».
Venticinque anni dopo quel fax inviato dalla sede di Food Records, lo stile essenziale e diretto è rimasto più o meno lo stesso, ma le idee concrete e le ambizioni estreme di Miles Jacobson hanno trasformato un videogioco manageriale nato in una soffitta dello Shropshire in una delle più grandi narrazioni sportive contemporanee, collettiva e interattiva. Allo stesso modo, milioni di utenti vivono più o meno lo stesso sogno di André Villas-Boas in compagnia di Football Manager, e non importa neanche quanti effettivamente seguiranno le orme del tecnico portoghese.
È la totalità dell’esperienza ludico-esistenziale che viene riconosciuta da tutti i più grandi appassionati del gioco, ed è quella la pietra angolare su cui si regge la popolarità del brand a tutti i livelli. Di fronte alla promessa di conquistare la vetta del mondo celebrando la propria filosofia di gioco tutti gli appassionati sono uguali, e il grande successo di Miles Jacobson è stato quello di aver trasformato un videogioco nella possibilità di essere, a tutti gli effetti, a un solo grado di separazione dai propri miti.
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