ataris
02-10-2015, 14:24
Le 10 imprese provinciali più belle del calcio italiano
Sessantacinque squadre in 84 edizioni della Serie A a girone unico. Considerando che le grandi sono sempre le stesse, non si può dire che il calcio italiano non abbia dato spazio alle… minoranze.
Per una semplice questione di numeri, le provinciali rappresentano la maggioranza, e quindi la base, del movimento.
Sono loro a sfornare per tradizione i giovani dei quali le big si accorgono in colpevole ritardo, e sono loro anche a confezionare le storie più belle con ingredienti naturali, come organizzazione e programmazione societaria.
Insomma, senza di loro, con buona pace degli amanti della Super Lega, proprio non si può stare. E se poi escono certe favole…
10. I dieci anni dell'Avellino
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Se avesse potuto, l’effervescente cavalier Sibilia una stelletta sulla maglia se la sarebbe fatta mettere. I dieci anni consecutivi di militanza in Serie A degli irpini rappresentano tutt’oggi uno dei maggiori miracoli sportivi del calcio italiano, pur figli di un’era forse irripetibile.
Oggi, per ottenere una striscia simile, non basterebbe il calcio virtuoso dell’Avellino dell’epoca, basato sulla valorizzazione di giovani talenti poi da rivendere, come Tacconi, Vignola e De Napoli, su pochi stranieri, ma mirati e quasi tutti efficaci, e sulla forza di un fattore campo quasi insuperabile.
Le leggende sulle intimidazioni del Partenio sono vere solo in parte, alla base di quelle 9 salvezze c’è il profumo del calcio di una volta. E il calore del Mezzogiorno, che in anni difficilissimi si specchiò nelle imprese di giocatori ed allenatori, più forti anche dei drammi. Perché la salvezza più bella e commovente fu quella del 1981, nella stagione funestata dalla tragedia del terremoto.
9. Il Catania sudamericano
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Oggi, come il miglior Sisifo, bisogna ricominciare a spingere il masso fino in cima. Ma per i tifosi non è un problema tornare sui polverosi campi di terza serie, abituali per tutti gli anni ’90.
Perché il calcio a Catania ha vissuto di tante sofferenze, con due fallimenti e difficoltà parse anche insormontabili, e poche gioie, le maggiori delle quali sono vicine nel tempo, ma sembrano lontanissime.
Come dopo ogni bufera che si rispetti, Lazio e Parma docent, il dilemma è: come vedere quegli anni con il senno di poi? Ringraziare o meno una proprietà protagonista di un miracolo, e poi della sua distruzione?
Ma la storia non si cambia, e allora ecco gli 8 campionati consecutivi in A dal 2007 al 2013, vissuti spostando gradualmente l’asticella dalle salvezze (memorabili quelle soffertissime ottenute con Zenga, Mihajlovic e Simeone in panchina) a un’Europa solo sfiorata nei due anni aurei con Montella e Maran in panchina.
Un Catania in salsa argentina grazie alle intuizioni low cost del d.g. Lo Monaco. La cui dipartita nel 2012 ha rappresentato per molti tifosi la prima pietra della valanga.
8. L'Ascoli di Rozzi & Mazzone
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Il Del Duca e il Partenio. Si possono contare sulle dita di una mano le grandi che, negli anni ’80, non hanno perso almeno una volta su uno dei due campi simbolo della provincia d’assalto del calcio italiano dell’epoca d’oro.
Quello dei bianconeri fu un autentico miracolo, che si identificò nei caratteri esplosivamente affini del presidente Costantino Rozzi e del tecnico Carlo Mazzone.
Uno dei binomi meglio riusciti nella storia del calcio italiano regalò ai tifosi del Picchio un decennio d’oro, con 13 stagioni non consecutive in massima serie, appena due retrocessioni, e altrettanti piazzamenti entro i primi 6 posti, che fecero sfiorare una storica qualificazione europea.
Il tutto attraverso un calcio sostenibile, basato sulla valorizzazione dei propri giovani, e su investimenti oculati su stranieri divenuti poi affari, da Casagrande a Bierhoff. Ecco, forse quello che manca di più nel calcio di oggi è la presenza di presidenti competenti…
7. Il Padova di Rocco
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Il signore di Milano, ma anche del Triveneto. Nereo Rocco non ha legato solo il proprio nome ai primi successi europei della storia del Milan, ma anche al periodo migliore, e forse irripetibile, di due provinciali che appartengono alla storia della Serie A, la Triestina e appunto i biancoscudati.
Dopo aver portato in A l’Alabarda, il Paron arriva nella Città del Santo nel ’53, rivoltando la storia del club.
Dopo una sofferta salvezza arriva il trionfale campionato della promozione, cui seguiranno 7 tornei consecutivi in massima serie, record mai più battuto dal Padova, che tra il ’58 e il ’61 chiude per tre volte tra i primi 6, cominciando con uno storico terzo posto.
Lo stile di gioco è l’inconfondibile Catenaccio, con fase offensiva affidata al talento di Kurt Hamrin, che farà poi le fortune di Fiorentina e Milan.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
6. ll Brescia di Baggio
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Per alcuni tifosi, quelli incrollabili secondo cui contano solo i tituli, la miglior stagione del Brescia è stata la ’93-94, quella culminata con l’immediato ritorno in A dopo la retrocessione nello spareggio di Bologna contro l’Udinese, ma soprattutto con il trionfo di Wembley, nell’Anglo-italiano contro il Notts County.
Erano le Rondinelle in salsa rumena, con Lucescu e Hagi, gli stessi protagonisti della stagione dei record negativi (retrocessione con largo anticipo e appena 12 punti).
E allora, con tutto il rispetto, il best of va all’era Baggio-Mazzone-Guardiola. I due colpi di mercato made in Corioni, cui si aggiunsero i futuri Campioni del Mondo Toni, e Pirlo, protagonista di un fugace, ma decisivo, ritorno in prestito (qui si riscoprì regista), produssero quattro stagioni di gloria, tra il 2000 e il 2004, visto che mai prima d’ora il Brescia era stato per tanti anni consecutivamente in massima serie.
Un’era cominciata con uno storico 7° posto e la semifinale di Intertoto persa contro il Psg, e comprendente un’altra semifinale di Coppa Italia e lo scalpo di diverse grandi.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
5. La favola del Chievo
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Se Londra ha 8 squadre, la Serie A deve accontentarsi del caso quasi miracoloso di un centro di 250.000 abitanti capace di mantenere due squadre ai vertici del calcio, concetto valido a prescindere da quanto durerà il derby della Scala nella massima categoria.
Ok, nel definire il Ceo una formazione di quartiere c’è pure un pizzico di retorica, visto che si tratta a tutti gli effetti della seconda formazione cittadina, pur rivendicando con orgoglio le proprie origini periferiche, ma il traguardo dei 15 anni ai vertici è a un passo, figlio della perfetta organizzazione di un club che ora ha cominciato anche a valorizzare il proprio vivaio, ma il cui merito maggiore consiste nell’aver capito come il sogno europeo delle prime stagioni, con l’incredibile qualificazione Uefa al debutto, e il playoff Champions del post-Calciopoli, siano stati solo un premio di benvenuto.
La realtà è la lotta per la sopravvivenza. Trasformata in arte da chi ha saputo dimostrare che anche nel calcio si può programmare.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
4. Il Piacenza made in Italy
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Pensare oggi a una piccola di Serie A capace di centrare quattro salvezze consecutive, dopo avere sfiorato quella al debutto assoluto, esclusivamente grazie a giocatori italiani, è un’utopia assoluta.
Un po’ perché nel calcio dei milioni dei diritti televisivi, effettuare investimenti di medio-basso cabotaggio significa di fatto auto-condannarsi, ma soprattutto perché trovare una ventina di giocatori nostrani capaci di costituire una rosa di discreto livello, e di accontentarsi di ingaggi modesti, rievoca la classica metafora dell’ago nel pagliaio.
E invece, fu tutto vero: dopo la storica promozione del ’93, e la polemica retrocessione immediata, la società ebbe la forza di ritornare in A già la stagione successiva, quella in cui fu aperto il libro dei miracoli.
La scelta autarchica non fu mesa in discussione, e allora tra il ’96 e il ’99 ecco 4 memorabili salvezze, senza sbagliare una mossa: dai centravanti, da Simone Inzaghi a Pasquale Luiso, agli allenatori, ben 4 diversi: Cagni, autore della doppia promozione, Mutti, Materazzi e Guerini.
Poi, le prime turbolenze societarie creparono un giocattolo distruttosi con il fallimento del 2011.
3. L'imbattibile Perugia
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Al Curi hanno diversi motivi per sostenere di meritare un posto a pieno titolo nella storia del calcio italiano: non è da tutti far perdere due scudetti all’ultima giornata alla Juventus (1976 e 2000), ma soprattutto non fu da nessuno fino all’anno di grazia 1979, chiudere un campionato a girone unico con 0 sconfitte.
L’impresa compiuta dal gruppo allenato da Ilario Castagner, l’allenatore del cuore per i tifosi umbri, protagonista anche del ritorno in A del ’98, è da annali, e figlia di un calcio antico: quello della programmazione, che ha permesso di acclimatarsi con comodo al grande palcoscenico attraverso 3 stagioni in crescendo, e di costruire un giocattolo perfetto, ovviamente tutto italiano, senza nomi di grido, ma capace di esprimere un gioco gradevole.
Pure troppo, visto che il Grifo pareggiò 19 partite su 30, precludendosi la strada a uno storico scudetto. E nella stagione successiva, l’incantesimo si era già rotto: il presidente D’Attoma rilanciò assicurandosi un giovanissimo Paolo Rossi, e firmando lo storico, primo contratto per sponsorizzare la maglia.
Ma arrivò solo l’8° posto, prodromo della retrocessione e dello scandalo-Totonero. E di un lungo oblio spezzato 20 anni dopo dall’era Gaucci. Pur molto diversa…
2. Il Real Vicenza
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Trenta campionati di Serie A, 20 dei quali consecutivi fino al 1975, un paio di giocatori valorizzati e futuri Palloni d’oro, Paolo Rossi e Roby Baggio, e il miglior risultato di tutti i tempi per una neopromossa, il secondo posto del ’77.
Ce n’è già abbastanza per considerare il mitico Lanerossi un pezzo di storia del calcio italiano, ma la ciliegina sulla torta arrivò 19 anni dopo, con quella Coppa Italia conquistata tra lo stupore generale, che precedette la cavalcata nella Coppa delle Coppe seguente, fermatasi solo in semifinale contro il Chelsea.
Era il Vicenza di un giovane Ambrosini, del vecchio Di Carlo, degli stranieri Mendez e Otero, ma soprattutto di Francesco Guidolin.
Esattamente come quello del ’76 fu il Vicenza, anzi il Real Vicenza, di Gibì Fabbri, artefice del biennio promozione+secondo posto, reinventando Rossi da esterno a centravanti.
Poi l’incantesimo si spezzò dopo il riscatto milionario di Pablito alle buste. Visto che succede alle piccole che vogliono fare le grandi?
1. L'EuroUdinese
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Qui il discorso va sdoppiato. Il pensiero di tutti va ai miracoli dell’era Pozzo, capace nell’ultimo ventennio di creare un autentico impero in grado non solo di far restare il club in Serie A, ma anche di portarlo all’attenzione del calcio europeo, con ben 10 qualficazioni alle Coppe, e quel rapporto di odio-amore con la Champions: su tre passaggi meritati sul campo, solo una volta i bianconeri hanno avuto accesso alla fase a gironi, sufficiente comunque per vivere due storiche notti contro il Barcellona di Ronaldinho.
Alla base di un progetto imitatissimo, ma con poca fortuna, ingredienti semplici: capacità di investimento, competenza e lungimiranza nell’’individuare i migliori talenti stranieri da acquistare sconosciuti, valorizzare e rivendere.
I due picchi furono i terzi posti del 1998 e del 2012, eppure il piazzamento migliore della storia resta il 2° posto del ’55, quando si sognò anche lo scudetto poi finito al Milan: ma tutto fu vanificato da un illecito, ammesso, che costò la retrocessione d’ufficio in B.
Sessantacinque squadre in 84 edizioni della Serie A a girone unico. Considerando che le grandi sono sempre le stesse, non si può dire che il calcio italiano non abbia dato spazio alle… minoranze.
Per una semplice questione di numeri, le provinciali rappresentano la maggioranza, e quindi la base, del movimento.
Sono loro a sfornare per tradizione i giovani dei quali le big si accorgono in colpevole ritardo, e sono loro anche a confezionare le storie più belle con ingredienti naturali, come organizzazione e programmazione societaria.
Insomma, senza di loro, con buona pace degli amanti della Super Lega, proprio non si può stare. E se poi escono certe favole…
10. I dieci anni dell'Avellino
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Se avesse potuto, l’effervescente cavalier Sibilia una stelletta sulla maglia se la sarebbe fatta mettere. I dieci anni consecutivi di militanza in Serie A degli irpini rappresentano tutt’oggi uno dei maggiori miracoli sportivi del calcio italiano, pur figli di un’era forse irripetibile.
Oggi, per ottenere una striscia simile, non basterebbe il calcio virtuoso dell’Avellino dell’epoca, basato sulla valorizzazione di giovani talenti poi da rivendere, come Tacconi, Vignola e De Napoli, su pochi stranieri, ma mirati e quasi tutti efficaci, e sulla forza di un fattore campo quasi insuperabile.
Le leggende sulle intimidazioni del Partenio sono vere solo in parte, alla base di quelle 9 salvezze c’è il profumo del calcio di una volta. E il calore del Mezzogiorno, che in anni difficilissimi si specchiò nelle imprese di giocatori ed allenatori, più forti anche dei drammi. Perché la salvezza più bella e commovente fu quella del 1981, nella stagione funestata dalla tragedia del terremoto.
9. Il Catania sudamericano
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Oggi, come il miglior Sisifo, bisogna ricominciare a spingere il masso fino in cima. Ma per i tifosi non è un problema tornare sui polverosi campi di terza serie, abituali per tutti gli anni ’90.
Perché il calcio a Catania ha vissuto di tante sofferenze, con due fallimenti e difficoltà parse anche insormontabili, e poche gioie, le maggiori delle quali sono vicine nel tempo, ma sembrano lontanissime.
Come dopo ogni bufera che si rispetti, Lazio e Parma docent, il dilemma è: come vedere quegli anni con il senno di poi? Ringraziare o meno una proprietà protagonista di un miracolo, e poi della sua distruzione?
Ma la storia non si cambia, e allora ecco gli 8 campionati consecutivi in A dal 2007 al 2013, vissuti spostando gradualmente l’asticella dalle salvezze (memorabili quelle soffertissime ottenute con Zenga, Mihajlovic e Simeone in panchina) a un’Europa solo sfiorata nei due anni aurei con Montella e Maran in panchina.
Un Catania in salsa argentina grazie alle intuizioni low cost del d.g. Lo Monaco. La cui dipartita nel 2012 ha rappresentato per molti tifosi la prima pietra della valanga.
8. L'Ascoli di Rozzi & Mazzone
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Il Del Duca e il Partenio. Si possono contare sulle dita di una mano le grandi che, negli anni ’80, non hanno perso almeno una volta su uno dei due campi simbolo della provincia d’assalto del calcio italiano dell’epoca d’oro.
Quello dei bianconeri fu un autentico miracolo, che si identificò nei caratteri esplosivamente affini del presidente Costantino Rozzi e del tecnico Carlo Mazzone.
Uno dei binomi meglio riusciti nella storia del calcio italiano regalò ai tifosi del Picchio un decennio d’oro, con 13 stagioni non consecutive in massima serie, appena due retrocessioni, e altrettanti piazzamenti entro i primi 6 posti, che fecero sfiorare una storica qualificazione europea.
Il tutto attraverso un calcio sostenibile, basato sulla valorizzazione dei propri giovani, e su investimenti oculati su stranieri divenuti poi affari, da Casagrande a Bierhoff. Ecco, forse quello che manca di più nel calcio di oggi è la presenza di presidenti competenti…
7. Il Padova di Rocco
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Il signore di Milano, ma anche del Triveneto. Nereo Rocco non ha legato solo il proprio nome ai primi successi europei della storia del Milan, ma anche al periodo migliore, e forse irripetibile, di due provinciali che appartengono alla storia della Serie A, la Triestina e appunto i biancoscudati.
Dopo aver portato in A l’Alabarda, il Paron arriva nella Città del Santo nel ’53, rivoltando la storia del club.
Dopo una sofferta salvezza arriva il trionfale campionato della promozione, cui seguiranno 7 tornei consecutivi in massima serie, record mai più battuto dal Padova, che tra il ’58 e il ’61 chiude per tre volte tra i primi 6, cominciando con uno storico terzo posto.
Lo stile di gioco è l’inconfondibile Catenaccio, con fase offensiva affidata al talento di Kurt Hamrin, che farà poi le fortune di Fiorentina e Milan.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
6. ll Brescia di Baggio
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Per alcuni tifosi, quelli incrollabili secondo cui contano solo i tituli, la miglior stagione del Brescia è stata la ’93-94, quella culminata con l’immediato ritorno in A dopo la retrocessione nello spareggio di Bologna contro l’Udinese, ma soprattutto con il trionfo di Wembley, nell’Anglo-italiano contro il Notts County.
Erano le Rondinelle in salsa rumena, con Lucescu e Hagi, gli stessi protagonisti della stagione dei record negativi (retrocessione con largo anticipo e appena 12 punti).
E allora, con tutto il rispetto, il best of va all’era Baggio-Mazzone-Guardiola. I due colpi di mercato made in Corioni, cui si aggiunsero i futuri Campioni del Mondo Toni, e Pirlo, protagonista di un fugace, ma decisivo, ritorno in prestito (qui si riscoprì regista), produssero quattro stagioni di gloria, tra il 2000 e il 2004, visto che mai prima d’ora il Brescia era stato per tanti anni consecutivamente in massima serie.
Un’era cominciata con uno storico 7° posto e la semifinale di Intertoto persa contro il Psg, e comprendente un’altra semifinale di Coppa Italia e lo scalpo di diverse grandi.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
5. La favola del Chievo
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Se Londra ha 8 squadre, la Serie A deve accontentarsi del caso quasi miracoloso di un centro di 250.000 abitanti capace di mantenere due squadre ai vertici del calcio, concetto valido a prescindere da quanto durerà il derby della Scala nella massima categoria.
Ok, nel definire il Ceo una formazione di quartiere c’è pure un pizzico di retorica, visto che si tratta a tutti gli effetti della seconda formazione cittadina, pur rivendicando con orgoglio le proprie origini periferiche, ma il traguardo dei 15 anni ai vertici è a un passo, figlio della perfetta organizzazione di un club che ora ha cominciato anche a valorizzare il proprio vivaio, ma il cui merito maggiore consiste nell’aver capito come il sogno europeo delle prime stagioni, con l’incredibile qualificazione Uefa al debutto, e il playoff Champions del post-Calciopoli, siano stati solo un premio di benvenuto.
La realtà è la lotta per la sopravvivenza. Trasformata in arte da chi ha saputo dimostrare che anche nel calcio si può programmare.
Ma Rocco riesce a superare anche la partenza dell’Uccellino, facendo dell’Appiani un fortino proibito per le big. La squadra resta a galla fino a quando il Paron non vola a Milano. Retrocessione immediata: la A tornerà solo 32 anni più tardi, e per appena due stagioni.
4. Il Piacenza made in Italy
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Pensare oggi a una piccola di Serie A capace di centrare quattro salvezze consecutive, dopo avere sfiorato quella al debutto assoluto, esclusivamente grazie a giocatori italiani, è un’utopia assoluta.
Un po’ perché nel calcio dei milioni dei diritti televisivi, effettuare investimenti di medio-basso cabotaggio significa di fatto auto-condannarsi, ma soprattutto perché trovare una ventina di giocatori nostrani capaci di costituire una rosa di discreto livello, e di accontentarsi di ingaggi modesti, rievoca la classica metafora dell’ago nel pagliaio.
E invece, fu tutto vero: dopo la storica promozione del ’93, e la polemica retrocessione immediata, la società ebbe la forza di ritornare in A già la stagione successiva, quella in cui fu aperto il libro dei miracoli.
La scelta autarchica non fu mesa in discussione, e allora tra il ’96 e il ’99 ecco 4 memorabili salvezze, senza sbagliare una mossa: dai centravanti, da Simone Inzaghi a Pasquale Luiso, agli allenatori, ben 4 diversi: Cagni, autore della doppia promozione, Mutti, Materazzi e Guerini.
Poi, le prime turbolenze societarie creparono un giocattolo distruttosi con il fallimento del 2011.
3. L'imbattibile Perugia
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Al Curi hanno diversi motivi per sostenere di meritare un posto a pieno titolo nella storia del calcio italiano: non è da tutti far perdere due scudetti all’ultima giornata alla Juventus (1976 e 2000), ma soprattutto non fu da nessuno fino all’anno di grazia 1979, chiudere un campionato a girone unico con 0 sconfitte.
L’impresa compiuta dal gruppo allenato da Ilario Castagner, l’allenatore del cuore per i tifosi umbri, protagonista anche del ritorno in A del ’98, è da annali, e figlia di un calcio antico: quello della programmazione, che ha permesso di acclimatarsi con comodo al grande palcoscenico attraverso 3 stagioni in crescendo, e di costruire un giocattolo perfetto, ovviamente tutto italiano, senza nomi di grido, ma capace di esprimere un gioco gradevole.
Pure troppo, visto che il Grifo pareggiò 19 partite su 30, precludendosi la strada a uno storico scudetto. E nella stagione successiva, l’incantesimo si era già rotto: il presidente D’Attoma rilanciò assicurandosi un giovanissimo Paolo Rossi, e firmando lo storico, primo contratto per sponsorizzare la maglia.
Ma arrivò solo l’8° posto, prodromo della retrocessione e dello scandalo-Totonero. E di un lungo oblio spezzato 20 anni dopo dall’era Gaucci. Pur molto diversa…
2. Il Real Vicenza
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Trenta campionati di Serie A, 20 dei quali consecutivi fino al 1975, un paio di giocatori valorizzati e futuri Palloni d’oro, Paolo Rossi e Roby Baggio, e il miglior risultato di tutti i tempi per una neopromossa, il secondo posto del ’77.
Ce n’è già abbastanza per considerare il mitico Lanerossi un pezzo di storia del calcio italiano, ma la ciliegina sulla torta arrivò 19 anni dopo, con quella Coppa Italia conquistata tra lo stupore generale, che precedette la cavalcata nella Coppa delle Coppe seguente, fermatasi solo in semifinale contro il Chelsea.
Era il Vicenza di un giovane Ambrosini, del vecchio Di Carlo, degli stranieri Mendez e Otero, ma soprattutto di Francesco Guidolin.
Esattamente come quello del ’76 fu il Vicenza, anzi il Real Vicenza, di Gibì Fabbri, artefice del biennio promozione+secondo posto, reinventando Rossi da esterno a centravanti.
Poi l’incantesimo si spezzò dopo il riscatto milionario di Pablito alle buste. Visto che succede alle piccole che vogliono fare le grandi?
1. L'EuroUdinese
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Qui il discorso va sdoppiato. Il pensiero di tutti va ai miracoli dell’era Pozzo, capace nell’ultimo ventennio di creare un autentico impero in grado non solo di far restare il club in Serie A, ma anche di portarlo all’attenzione del calcio europeo, con ben 10 qualficazioni alle Coppe, e quel rapporto di odio-amore con la Champions: su tre passaggi meritati sul campo, solo una volta i bianconeri hanno avuto accesso alla fase a gironi, sufficiente comunque per vivere due storiche notti contro il Barcellona di Ronaldinho.
Alla base di un progetto imitatissimo, ma con poca fortuna, ingredienti semplici: capacità di investimento, competenza e lungimiranza nell’’individuare i migliori talenti stranieri da acquistare sconosciuti, valorizzare e rivendere.
I due picchi furono i terzi posti del 1998 e del 2012, eppure il piazzamento migliore della storia resta il 2° posto del ’55, quando si sognò anche lo scudetto poi finito al Milan: ma tutto fu vanificato da un illecito, ammesso, che costò la retrocessione d’ufficio in B.