Nocturnad
09-06-2015, 11:49
Chiudo gli occhi e rivedo quell'immagine. Il tackle dell'avversario, il ginocchio che si piega in maniera innaturale, il legamento crociato che si rompe, e una promettente carriera che finisce sul nascere.
Avevo solo 17 anni, era un'amichevole tra noi dell'Haugesund, la mia città natale, e il Viking Stavanger. Ero un mediano di belle speranze, giocavo titolare e a quanto si diceva, avevo addosso gli occhi di squadre come il Rosemborg e lo Stabaek.
Poi mio fratello Egil azzardò quell'intervento e finì tutto. All'inizio credo di averlo addirittura perdonato, non mi rendevo conto della gravità dell'infortunio, e a 17 anni ero convinto di avere tutto il tempo del mondo per tornare. Ma ogni volta che scendevo in campo facevo fatica, il ginocchio mi faceva male se solo provavo a palleggiare. L'Haugesund mi diede una seconda chance, ma poco dopo si resero conto che non ero in grado di continuare, che non potevo farcela. Provai una seconda volta, con l'Eik Tonsberg, una squadra poco sopra il livello dei dilettanti, ma non feci in tempo a giocare due partite che ero fermo nuovamente. In quel momento capii, e decisi di ritirarmi dal calcio giocato. Non avevo nemmeno 20 anni. Decisi di iscrivermi ad un'università ma fu tempo perso, non avevo voglia di studiare.
Volevo restare nel mondo del calcio, se non potevo giocare, avrei allenato. Ma ero troppo giovane e nessuno mi avrebbe mai dato una chance.
Nel mentre, guardavo le "prodezze" di mio fratello Egil, che era finito a giocare in Inghilterra, e solo allora mi resi conto che lo odiavo per davvero. Mi aveva tolto il futuro, non sarei mai stato in grado di perdonarlo veramente. Anche solo rivederlo ogni anno per le feste mi dava un fastidio immenso.
Trovai lavoro come cameriere in un piccolo ristorante di Horten, una cittadina a sud della Norvegia. Non era quello che volevo fare, ma dovevo pur guadagnarmi da vivere. Divenni tifoso della squadra locale, l'Orn Horten, un tempo grande squadra, capace di vincere quattro coppe di Norvegia e anche un paio di campionati, ma che negli ultimi 30 anni non aveva conosciuto null'altro che la Oddsenligaen 2, la Oddsenligaen 1 e, in rari casi isolati, l'Adeccoligaen, la serie B. Ah. A Horten c'è anche l'Eik Tonsberg, la squadra che aveva provato a darmi un'altra chance. Erano poco più che dilettanti, ogni tanto andavo allo stadio a vederli, qualche tifoso mi riconosceva anche, ma quel tipo di calcio non mi piaceva.
Non mi persi d'animo, comunque. A 25 anni iniziai a studiare per il patentino da allenatore e trovai impiego come allenatore delle giovanili proprio dell'Eik Tonsberg. E' buffo pensare come una squadra di livello molto basso come questa abbia un suo settore giovanile.
Rimasi per 8 anni, poi, a 33, decisi che era il tempo di provare a dare una svolta alla mia carriera. Lasciai il posto di allenatore del settore giovanile e mi dichiarai pronto per una panchina vera, di una squadra senior.
Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, però, e per due anni il telefono rimase muto. Avevo saggiamente messo da parte tutto quello che potevo del pur magro stipendio che l'Eik Tonsberg mi passava, ma anche quei risparmi stavano iniziando a scarseggiare.
Poi, la svolta. Luglio 2015, suona il telefono, quasi non ci credo. L'Orn Horten vuole affidarmi la panchina. Sono reduci da una stagione disastrosa, con pur una buona squadra, pronosticata al 5° posto. La dirigenza vuole i playoff, se non addirittura la promozione, e vogliono un volto nuovo, qualcuno che possa portare una ventata d'aria fresca in squadra.
Ma io non ci credo, non può essere così semplice. Chiedo ancora "perché io?" e a quel punto la verità viene fuori. Mio fratello ha telefonato alla dirigenza consigliando caldamente il mio nome. Egil è una sorta di leggenda in Norvegia, e l'Orn Horten ha accettato la sua proposta. Sono livido di rabbia e sto quasi per mandarli a quel paese e riattaccare, ma poi penso "E' comunque la mia occasione per dimostrare quanto valgo. Non importa se sia merito di mio fratello o meno se ho ottenuto questa panchina. Posso fare bene."
Accetto. Ma è subito chiaro che non credono molto in me. Contratto annuale. Hai una stagione per fare bene, mi dicono, altrimenti sei fuori. Bene, un "ora o mai più" al mio primo incarico. Ma non mi do per vinto, la rosa è buona, e ho in mente come farla giocare. Mi manca solo un terzino sinistro, ma provvederò quanto prima. L'importante è iniziare, e ora, Erik Østenstad è in pista.
Avevo solo 17 anni, era un'amichevole tra noi dell'Haugesund, la mia città natale, e il Viking Stavanger. Ero un mediano di belle speranze, giocavo titolare e a quanto si diceva, avevo addosso gli occhi di squadre come il Rosemborg e lo Stabaek.
Poi mio fratello Egil azzardò quell'intervento e finì tutto. All'inizio credo di averlo addirittura perdonato, non mi rendevo conto della gravità dell'infortunio, e a 17 anni ero convinto di avere tutto il tempo del mondo per tornare. Ma ogni volta che scendevo in campo facevo fatica, il ginocchio mi faceva male se solo provavo a palleggiare. L'Haugesund mi diede una seconda chance, ma poco dopo si resero conto che non ero in grado di continuare, che non potevo farcela. Provai una seconda volta, con l'Eik Tonsberg, una squadra poco sopra il livello dei dilettanti, ma non feci in tempo a giocare due partite che ero fermo nuovamente. In quel momento capii, e decisi di ritirarmi dal calcio giocato. Non avevo nemmeno 20 anni. Decisi di iscrivermi ad un'università ma fu tempo perso, non avevo voglia di studiare.
Volevo restare nel mondo del calcio, se non potevo giocare, avrei allenato. Ma ero troppo giovane e nessuno mi avrebbe mai dato una chance.
Nel mentre, guardavo le "prodezze" di mio fratello Egil, che era finito a giocare in Inghilterra, e solo allora mi resi conto che lo odiavo per davvero. Mi aveva tolto il futuro, non sarei mai stato in grado di perdonarlo veramente. Anche solo rivederlo ogni anno per le feste mi dava un fastidio immenso.
Trovai lavoro come cameriere in un piccolo ristorante di Horten, una cittadina a sud della Norvegia. Non era quello che volevo fare, ma dovevo pur guadagnarmi da vivere. Divenni tifoso della squadra locale, l'Orn Horten, un tempo grande squadra, capace di vincere quattro coppe di Norvegia e anche un paio di campionati, ma che negli ultimi 30 anni non aveva conosciuto null'altro che la Oddsenligaen 2, la Oddsenligaen 1 e, in rari casi isolati, l'Adeccoligaen, la serie B. Ah. A Horten c'è anche l'Eik Tonsberg, la squadra che aveva provato a darmi un'altra chance. Erano poco più che dilettanti, ogni tanto andavo allo stadio a vederli, qualche tifoso mi riconosceva anche, ma quel tipo di calcio non mi piaceva.
Non mi persi d'animo, comunque. A 25 anni iniziai a studiare per il patentino da allenatore e trovai impiego come allenatore delle giovanili proprio dell'Eik Tonsberg. E' buffo pensare come una squadra di livello molto basso come questa abbia un suo settore giovanile.
Rimasi per 8 anni, poi, a 33, decisi che era il tempo di provare a dare una svolta alla mia carriera. Lasciai il posto di allenatore del settore giovanile e mi dichiarai pronto per una panchina vera, di una squadra senior.
Tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare, però, e per due anni il telefono rimase muto. Avevo saggiamente messo da parte tutto quello che potevo del pur magro stipendio che l'Eik Tonsberg mi passava, ma anche quei risparmi stavano iniziando a scarseggiare.
Poi, la svolta. Luglio 2015, suona il telefono, quasi non ci credo. L'Orn Horten vuole affidarmi la panchina. Sono reduci da una stagione disastrosa, con pur una buona squadra, pronosticata al 5° posto. La dirigenza vuole i playoff, se non addirittura la promozione, e vogliono un volto nuovo, qualcuno che possa portare una ventata d'aria fresca in squadra.
Ma io non ci credo, non può essere così semplice. Chiedo ancora "perché io?" e a quel punto la verità viene fuori. Mio fratello ha telefonato alla dirigenza consigliando caldamente il mio nome. Egil è una sorta di leggenda in Norvegia, e l'Orn Horten ha accettato la sua proposta. Sono livido di rabbia e sto quasi per mandarli a quel paese e riattaccare, ma poi penso "E' comunque la mia occasione per dimostrare quanto valgo. Non importa se sia merito di mio fratello o meno se ho ottenuto questa panchina. Posso fare bene."
Accetto. Ma è subito chiaro che non credono molto in me. Contratto annuale. Hai una stagione per fare bene, mi dicono, altrimenti sei fuori. Bene, un "ora o mai più" al mio primo incarico. Ma non mi do per vinto, la rosa è buona, e ho in mente come farla giocare. Mi manca solo un terzino sinistro, ma provvederò quanto prima. L'importante è iniziare, e ora, Erik Østenstad è in pista.