Khabar
01-04-2015, 21:05
Dopo il fallimento del Parma il calcio italiano prova a mettere in riga i propri bilanci
Il fallimento del Parma FC ha riportato all’attenzione di tutti la debolezza del sistema calcio in Italia. Com’è stato possibile che una squadra che aveva raggiunto sul campo la qualificazione all’Europa League l’anno scorso si sia sciolta come neve al sole nell’arco di poco meno di quattro mesi? (Va ricordato che le prime difficoltà serie si erano già palesate a novembre 2014 e solo la girandola di cambiamenti azionari ha allungato i tempi di un intervento da parte dei tribunali). E soprattutto: che cosa dobbiamo attenderci per il futuro per la nostra Serie A?
Iniziamo col dire che il modo in cui le informazioni vengono solitamente riportate dalla stampa risponde più a requisiti di “visibilità mediatica” che non di rappresentazione oggettiva del dato. Indicare i debiti totali di una società, senza tenere conto dei crediti e, soprattutto, senza rapportare questo valore al fatturato che viene prodotto annualmente, fa molta scena, probabilmente attira click e lettori, ma non aiuta a capire la portata del problema.
Un esempio concreto
Il Real Madrid, al 30 giugno 2014 aveva debiti totali a bilancio per 601 milioni di euro. Se si legge solo questo dato si potrebbe immaginare che la squadra sia sull’orlo del fallimento, ma non è così: a fronte di questo debito totale il Real Madrid ha crediti per 86 milioni di euro e disponibilità sui propri conti correnti bancari per 173 mln di euro. I debiti sono per oltre il 40% a medio e lungo termine (derivanti da finanziamenti per investimenti in infrastrutture e saldo di quote di calciatori acquistati con dilazioni di pagamento), inoltre il Real Madrid nella stagione 2013/14 ha raggiunto un fatturato al netto del calciomercato di 550 milioni di euro, che produce flussi di cassa in entrata costati e rilevanti.
Aggiungendo a tutto questo il fatto che il costo del personale rappresenta il 49% del fatturato, e che il risultato operativo (quello che viene chiamato EBITDA) prima della gestione dei calciatori è positivo per 125 milioni, si capisce immediatamente che nel caso del Real Madrid il debito esistente non è un problema. Oltretutto, per avere un quadro completo, dovremmo anche considerare che il parco calciatori della squadra spagnola è valutato da Transfermarkt circa 720 milioni di euro. Il sito citato non dà un valore assoluto, ma consente comunque di avere un riferimento per capire che la parte di debiti nati per comprare i giocatori è stata spesa bene e in caso di emergenza può essere estinta grazie ad un numero tutto sommato contenuto di operazioni di cessione.
Un granello di sabbia nell’ingranaggio
Resta la domanda: cosa sta succedendo alla nostra Serie A?
L’ultima rilevazione ufficiale della FIGC, pubblicata a gennaio 2014, parlava di una massa di debiti totali di 2,9 miliardi di euro, dei quali circa il 32% erano di natura finanziaria. Aggiornando questi dati alla stagione 2013/14, cioè basandoci sugli ultimi bilanci disponibili pubblicati dalle squadre, questo valore dovrebbe essere sceso a circa 2,5 miliardi di euro, che però devono essere ridotti dell’attivo a breve, arrivando a identificare debiti netti per circa 1,3 miliardi di euro. Considerando che il fatturato, al netto del calciomercato, è di 1,7 miliardi, significa che il sistema è obiettivamente schiacciato dai debiti e che basta poco per ricreare situazioni come quelle del Parma.
Quello che è successo ai Ducali è già accaduto ad altre realtà (ad esempio al Siena), ma molte altre ci sono andate vicine (basti pensare, ad esempio, al Bologna). Non basta: quando la CoViSoC l’anno scorso ha analizzato i bilanci per rilasciare la Licenza Nazionale nessuna delle squadre di Serie A rispettava i tre indicatori economico-finanziari richiesti nell’ambito del processo di accreditamento. Eppure non è successo nulla, anche perché il potere sanzionatorio era praticamente inefficace.
La verità è che la Serie A non ha ancora terminato il cammino di affrancamento dalla figura di Presidente-Mecenate. E se ci sono squadre, come Lazio, Napoli e Udinese, che sono state in grado di andare avanti senza richiedere interventi di sostegno da parte dell’azionista, la maggior parte delle altre dipendeva (e in parte dipende tuttora) dai finanziamenti o versamenti di capitale che vengono concessi durante l’anno per evitare che il giocattolo imploda.
Il Parma ha avuto la “sfortuna” (che dovremmo in realtà chiamare incapacità di gestione e programmazione) di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. A fronte di una gestione che aveva ampiamente superato qualunque criterio di sostenibilità, non ha preso provvedimenti né ha potuto contare su interventi finanziari dell’azionista. Il risultato è stato che già nel 2013 la società aveva ottenuto dal sistema bancario (e speso) tutti i soldi derivanti dai diritti televisivi a lei spettanti non solo per la stagione in corso, ma anche per quella successiva. Il Parma, quindi, si è presentato all’inizio della stagione 2013/14 (quella che l’ha portata alla cavalcata verso l’Europa) sapendo che dei 50 milioni circa di fatturato ordinario ne aveva già impegnati 35 per sostenere i debiti passati. Ne rimanevano 15, più o meno, che però sarebbero dovuti servire per pagare 70 milioni di costi, fra spese del personale (52) e spese generali (28): come stupirsi se a quel punto il meccanismo si è inceppato?
Fra le squadre di Serie A che stanno partecipando all’attuale campionato, solo il Napoli non dichiarava debiti con le banche alla chiusura del suo ultimo esercizio (giugno 2014) ma, anzi, aveva liquidità disponibile per 42 mln di euro. Le altre squadre, in media, hanno un rapporto fra debiti finanziari e valore della produzione di 0,64: questo vuol dire che per ogni euro di ricavi (includendo anche le plusvalenze sui calciatori e gli altri ricavi non sportivi), ci sono sessantaquattro centesimi di debito verso il mondo bancario. Fra quelle messe peggio c’è la Roma (con un rapporto pari a 0,99) che addirittura sopravanza il Parma (0,94).
Anche Milan e Genoa non sono certo virtuosi (0,89) però il loro dato è ormai vecchio, essendo basato sul bilancio al 31 dicembre 2013. Il poco ambito scettro di peggiore spettava alla Sampdoria (qui, addirittura, il rapporto era di 2,36), con 80 mln di debiti a fronte di 33,5 di ricavi, ma anche in questo caso parliamo di dati del 2013 e, soprattutto, di una situazione antecedente alla cessione della squadra da parte dei Garrone a Ferrero (con importanti versamenti in denaro) che dovrebbe aver riportato la situazione in equilibrio.
Le nuove norme: un passo avanti
Lo scorso 26 marzo il Consiglio Federale si è riunito per deliberare nuovi criteri di natura economico-finanziaria necessari per il rilascio della Licenza Nazionale e la conseguente iscrizione al campionato di Serie A. Nonostante si tratti di un primo passo, perché gli indicatori sono stati per il momento descritti in via teorica e non ancora definiti in termini percentuali, questa volta il calcio italiano potrebbe aver trovato la via corretta per arrivare ad una riforma strutturale.
Innanzitutto, sono stati evitati i soliti interventi di emergenza in favore di un piano quadriennale di intervento che ha come obiettivo finale, a partire dalla stagione 2017/18, il pareggio di bilancio. Se questo non risolverà nell’immediato il problema del calcio professionistico, quanto meno traccia un rotta chiara e definita.
Inoltre il Consiglio Federale ha identificato delle sanzioni che, pur non comportando automaticamente l’esclusione dai campionati, sembrano essere studiate per costringere i club a mettersi in regola. In caso di violazione del neo-introdotto indicatore di liquidità (calcolato in maniera tale da verificare che i debiti a breve termine non eccedano una soglia di rischio) viene infatti introdotto un obbligo a carico della società, che dovrà intervenire per riportare il deficit finanziario nell’ambito della normalità.
In occasione della prima applicazione delle nuove norme, cioè per la verifica che verrà effettuata a giugno 2015, non sono previste conseguenze in caso di mancato rispetto dell’indicatore. Scelta corretta, perché non era proponibile introdurre a marzo cambiamenti rilevanti e/o sanzioni specifiche, su numeri che si riferiscono a una stagione giunta quasi al termine, che era partita su altre basi. Le società hanno bisogno di tempo per variare le proprie strategie e non possono farlo se tutte le operazioni che avrebbero potuto portare dei cambiamenti sono già state definite (in particolare le due sessioni di calciomercato 2014/15, che avrebbero potuto avere impatto sui bilanci).
La cosa importante è che a partire dalla prossima stagione, per le verifiche che verranno effettuate a giugno 2016, cioè, si cambierà registro. Nonostante l’indicatore di liquidità non sia ancora ufficialmente considerato ai fini del rilascio della Licenza Nazionale (accadrà solo a partire dalla stagione 2017/18), un’eventuale violazione porterà ad un’immediata sanzione: e cioè un vincolo legato al calciomercato. In sostanza, dice la norma, il club che dovesse palesare problemi di liquidità dovrà operare sul mercato mediante operazioni che portino un saldo netto sia sotto il profilo economico (plusvalenze vs. minusvalenze), sia sotto quello finanziario (flussi di cassa in entrata vs. flussi in uscita).
Questo secondo aspetto, ovverosia l’obbligo di asservire il calciomercato anche al rispetto di un saldo finanziario positivo, è particolarmente interessante. Si tratta di una sanzione ben più forte di quella che possa apparire ad una prima lettura. Significa che in un mercato ormai abituato a concedere dilazioni di pagamento fino a cinque anni, se il club deve vendere per ottenere un beneficio immediato (quindi un pagamento in contanti del calciatore, ovvero una dilazione contenuta), rischia di veder scendere il valore del giocatore, e quindi della transazione economica, perché i potenziali compratori sfrutteranno la necessità di fare cassa del venditore per offrire una cifra più bassa del reale.
Questo, unito al fatto che l’introduzione di una componente finanziaria annulla l’eventuale beneficio di tutte quelle operazioni borderline cui siamo abituati (cioè quegli scambi di giocatori a cifre fuori mercato che consentono a ciascuna delle due società di avere una plusvalenza, con un saldo netto pari a zero), rappresenta un forte segnale di discontinuità con il passato. In questo modo i club sono incentivati a porre in essere tutte quelle operazioni di riorganizzazione e ristrutturazione necessarie per evitare di cadere in una sanzione così pesante.
Il bicchiere mezzo pieno
È ancora presto per apprezzare appieno l’impatto di queste decisioni del Consiglio Federale, perché ci sono ancora dei tasselli mancanti. Non essendo ancora state definite in maniera esaustiva le metodologie di calcolo dei nuovi indicatori ed i parametri che verranno adottati (cioè le percentuali da rispettare per essere a norma) è evidente che una valutazione complessiva non può essere ancora fatta in maniera compiuta.
Tuttavia l’insieme dei segnali che giungono per il momento fanno guardare con ottimismo al futuro. Se le premesse che si intuiscono saranno confermate, cioè se effettivamente ci troviamo di fronte ad un serio piano di intervento che ha l’obiettivo fra quattro anni di mettere definitivamente a regime un sistema, non possiamo che fare un plauso alla decisione presa.
Va anche considerato che le decisioni del Consiglio Federale, per quanto formalmente autonome, sono comunque espressione della volontà dei presidenti delle squadre. Sono stati gli attori principali del sistema ad approvare una riforma in grado di condizionare così pesantemente i loro comportamenti futuri, bisogna chiedersi quindi se la situazione reale del nostro calcio non sia addirittura peggiore di quella che emerge dai numeri ufficiali. La speranza è che abbiano reagito per tempo e siano attrezzati a reggere l’urto dei prossimi due o tre anni.
Certo, sarebbe stato meglio non dover attendere un caso eclatante come quello del Parma per prendere provvedimenti. Ma ricordiamoci che questo non è solo un male italiano: tutto il mondo del calcio si sta muovendo in questa direzione perché ha scontato un lungo periodo vissuto ben oltre le proprie possibilità economiche e finanziarie. La stessa UEFA, che pure dovrebbe avere una visione di insieme di lungo periodo, si è mossa solo nel 2010 con il Fair Play Finanziario (che, tra l’altro, è entrato in vigore solo la scorsa stagione e non è ancora a regime).
http://www.ultimouomo.com/evitare-il-fallimento/
Che ne pensate?
Il fallimento del Parma FC ha riportato all’attenzione di tutti la debolezza del sistema calcio in Italia. Com’è stato possibile che una squadra che aveva raggiunto sul campo la qualificazione all’Europa League l’anno scorso si sia sciolta come neve al sole nell’arco di poco meno di quattro mesi? (Va ricordato che le prime difficoltà serie si erano già palesate a novembre 2014 e solo la girandola di cambiamenti azionari ha allungato i tempi di un intervento da parte dei tribunali). E soprattutto: che cosa dobbiamo attenderci per il futuro per la nostra Serie A?
Iniziamo col dire che il modo in cui le informazioni vengono solitamente riportate dalla stampa risponde più a requisiti di “visibilità mediatica” che non di rappresentazione oggettiva del dato. Indicare i debiti totali di una società, senza tenere conto dei crediti e, soprattutto, senza rapportare questo valore al fatturato che viene prodotto annualmente, fa molta scena, probabilmente attira click e lettori, ma non aiuta a capire la portata del problema.
Un esempio concreto
Il Real Madrid, al 30 giugno 2014 aveva debiti totali a bilancio per 601 milioni di euro. Se si legge solo questo dato si potrebbe immaginare che la squadra sia sull’orlo del fallimento, ma non è così: a fronte di questo debito totale il Real Madrid ha crediti per 86 milioni di euro e disponibilità sui propri conti correnti bancari per 173 mln di euro. I debiti sono per oltre il 40% a medio e lungo termine (derivanti da finanziamenti per investimenti in infrastrutture e saldo di quote di calciatori acquistati con dilazioni di pagamento), inoltre il Real Madrid nella stagione 2013/14 ha raggiunto un fatturato al netto del calciomercato di 550 milioni di euro, che produce flussi di cassa in entrata costati e rilevanti.
Aggiungendo a tutto questo il fatto che il costo del personale rappresenta il 49% del fatturato, e che il risultato operativo (quello che viene chiamato EBITDA) prima della gestione dei calciatori è positivo per 125 milioni, si capisce immediatamente che nel caso del Real Madrid il debito esistente non è un problema. Oltretutto, per avere un quadro completo, dovremmo anche considerare che il parco calciatori della squadra spagnola è valutato da Transfermarkt circa 720 milioni di euro. Il sito citato non dà un valore assoluto, ma consente comunque di avere un riferimento per capire che la parte di debiti nati per comprare i giocatori è stata spesa bene e in caso di emergenza può essere estinta grazie ad un numero tutto sommato contenuto di operazioni di cessione.
Un granello di sabbia nell’ingranaggio
Resta la domanda: cosa sta succedendo alla nostra Serie A?
L’ultima rilevazione ufficiale della FIGC, pubblicata a gennaio 2014, parlava di una massa di debiti totali di 2,9 miliardi di euro, dei quali circa il 32% erano di natura finanziaria. Aggiornando questi dati alla stagione 2013/14, cioè basandoci sugli ultimi bilanci disponibili pubblicati dalle squadre, questo valore dovrebbe essere sceso a circa 2,5 miliardi di euro, che però devono essere ridotti dell’attivo a breve, arrivando a identificare debiti netti per circa 1,3 miliardi di euro. Considerando che il fatturato, al netto del calciomercato, è di 1,7 miliardi, significa che il sistema è obiettivamente schiacciato dai debiti e che basta poco per ricreare situazioni come quelle del Parma.
Quello che è successo ai Ducali è già accaduto ad altre realtà (ad esempio al Siena), ma molte altre ci sono andate vicine (basti pensare, ad esempio, al Bologna). Non basta: quando la CoViSoC l’anno scorso ha analizzato i bilanci per rilasciare la Licenza Nazionale nessuna delle squadre di Serie A rispettava i tre indicatori economico-finanziari richiesti nell’ambito del processo di accreditamento. Eppure non è successo nulla, anche perché il potere sanzionatorio era praticamente inefficace.
La verità è che la Serie A non ha ancora terminato il cammino di affrancamento dalla figura di Presidente-Mecenate. E se ci sono squadre, come Lazio, Napoli e Udinese, che sono state in grado di andare avanti senza richiedere interventi di sostegno da parte dell’azionista, la maggior parte delle altre dipendeva (e in parte dipende tuttora) dai finanziamenti o versamenti di capitale che vengono concessi durante l’anno per evitare che il giocattolo imploda.
Il Parma ha avuto la “sfortuna” (che dovremmo in realtà chiamare incapacità di gestione e programmazione) di trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato. A fronte di una gestione che aveva ampiamente superato qualunque criterio di sostenibilità, non ha preso provvedimenti né ha potuto contare su interventi finanziari dell’azionista. Il risultato è stato che già nel 2013 la società aveva ottenuto dal sistema bancario (e speso) tutti i soldi derivanti dai diritti televisivi a lei spettanti non solo per la stagione in corso, ma anche per quella successiva. Il Parma, quindi, si è presentato all’inizio della stagione 2013/14 (quella che l’ha portata alla cavalcata verso l’Europa) sapendo che dei 50 milioni circa di fatturato ordinario ne aveva già impegnati 35 per sostenere i debiti passati. Ne rimanevano 15, più o meno, che però sarebbero dovuti servire per pagare 70 milioni di costi, fra spese del personale (52) e spese generali (28): come stupirsi se a quel punto il meccanismo si è inceppato?
Fra le squadre di Serie A che stanno partecipando all’attuale campionato, solo il Napoli non dichiarava debiti con le banche alla chiusura del suo ultimo esercizio (giugno 2014) ma, anzi, aveva liquidità disponibile per 42 mln di euro. Le altre squadre, in media, hanno un rapporto fra debiti finanziari e valore della produzione di 0,64: questo vuol dire che per ogni euro di ricavi (includendo anche le plusvalenze sui calciatori e gli altri ricavi non sportivi), ci sono sessantaquattro centesimi di debito verso il mondo bancario. Fra quelle messe peggio c’è la Roma (con un rapporto pari a 0,99) che addirittura sopravanza il Parma (0,94).
Anche Milan e Genoa non sono certo virtuosi (0,89) però il loro dato è ormai vecchio, essendo basato sul bilancio al 31 dicembre 2013. Il poco ambito scettro di peggiore spettava alla Sampdoria (qui, addirittura, il rapporto era di 2,36), con 80 mln di debiti a fronte di 33,5 di ricavi, ma anche in questo caso parliamo di dati del 2013 e, soprattutto, di una situazione antecedente alla cessione della squadra da parte dei Garrone a Ferrero (con importanti versamenti in denaro) che dovrebbe aver riportato la situazione in equilibrio.
Le nuove norme: un passo avanti
Lo scorso 26 marzo il Consiglio Federale si è riunito per deliberare nuovi criteri di natura economico-finanziaria necessari per il rilascio della Licenza Nazionale e la conseguente iscrizione al campionato di Serie A. Nonostante si tratti di un primo passo, perché gli indicatori sono stati per il momento descritti in via teorica e non ancora definiti in termini percentuali, questa volta il calcio italiano potrebbe aver trovato la via corretta per arrivare ad una riforma strutturale.
Innanzitutto, sono stati evitati i soliti interventi di emergenza in favore di un piano quadriennale di intervento che ha come obiettivo finale, a partire dalla stagione 2017/18, il pareggio di bilancio. Se questo non risolverà nell’immediato il problema del calcio professionistico, quanto meno traccia un rotta chiara e definita.
Inoltre il Consiglio Federale ha identificato delle sanzioni che, pur non comportando automaticamente l’esclusione dai campionati, sembrano essere studiate per costringere i club a mettersi in regola. In caso di violazione del neo-introdotto indicatore di liquidità (calcolato in maniera tale da verificare che i debiti a breve termine non eccedano una soglia di rischio) viene infatti introdotto un obbligo a carico della società, che dovrà intervenire per riportare il deficit finanziario nell’ambito della normalità.
In occasione della prima applicazione delle nuove norme, cioè per la verifica che verrà effettuata a giugno 2015, non sono previste conseguenze in caso di mancato rispetto dell’indicatore. Scelta corretta, perché non era proponibile introdurre a marzo cambiamenti rilevanti e/o sanzioni specifiche, su numeri che si riferiscono a una stagione giunta quasi al termine, che era partita su altre basi. Le società hanno bisogno di tempo per variare le proprie strategie e non possono farlo se tutte le operazioni che avrebbero potuto portare dei cambiamenti sono già state definite (in particolare le due sessioni di calciomercato 2014/15, che avrebbero potuto avere impatto sui bilanci).
La cosa importante è che a partire dalla prossima stagione, per le verifiche che verranno effettuate a giugno 2016, cioè, si cambierà registro. Nonostante l’indicatore di liquidità non sia ancora ufficialmente considerato ai fini del rilascio della Licenza Nazionale (accadrà solo a partire dalla stagione 2017/18), un’eventuale violazione porterà ad un’immediata sanzione: e cioè un vincolo legato al calciomercato. In sostanza, dice la norma, il club che dovesse palesare problemi di liquidità dovrà operare sul mercato mediante operazioni che portino un saldo netto sia sotto il profilo economico (plusvalenze vs. minusvalenze), sia sotto quello finanziario (flussi di cassa in entrata vs. flussi in uscita).
Questo secondo aspetto, ovverosia l’obbligo di asservire il calciomercato anche al rispetto di un saldo finanziario positivo, è particolarmente interessante. Si tratta di una sanzione ben più forte di quella che possa apparire ad una prima lettura. Significa che in un mercato ormai abituato a concedere dilazioni di pagamento fino a cinque anni, se il club deve vendere per ottenere un beneficio immediato (quindi un pagamento in contanti del calciatore, ovvero una dilazione contenuta), rischia di veder scendere il valore del giocatore, e quindi della transazione economica, perché i potenziali compratori sfrutteranno la necessità di fare cassa del venditore per offrire una cifra più bassa del reale.
Questo, unito al fatto che l’introduzione di una componente finanziaria annulla l’eventuale beneficio di tutte quelle operazioni borderline cui siamo abituati (cioè quegli scambi di giocatori a cifre fuori mercato che consentono a ciascuna delle due società di avere una plusvalenza, con un saldo netto pari a zero), rappresenta un forte segnale di discontinuità con il passato. In questo modo i club sono incentivati a porre in essere tutte quelle operazioni di riorganizzazione e ristrutturazione necessarie per evitare di cadere in una sanzione così pesante.
Il bicchiere mezzo pieno
È ancora presto per apprezzare appieno l’impatto di queste decisioni del Consiglio Federale, perché ci sono ancora dei tasselli mancanti. Non essendo ancora state definite in maniera esaustiva le metodologie di calcolo dei nuovi indicatori ed i parametri che verranno adottati (cioè le percentuali da rispettare per essere a norma) è evidente che una valutazione complessiva non può essere ancora fatta in maniera compiuta.
Tuttavia l’insieme dei segnali che giungono per il momento fanno guardare con ottimismo al futuro. Se le premesse che si intuiscono saranno confermate, cioè se effettivamente ci troviamo di fronte ad un serio piano di intervento che ha l’obiettivo fra quattro anni di mettere definitivamente a regime un sistema, non possiamo che fare un plauso alla decisione presa.
Va anche considerato che le decisioni del Consiglio Federale, per quanto formalmente autonome, sono comunque espressione della volontà dei presidenti delle squadre. Sono stati gli attori principali del sistema ad approvare una riforma in grado di condizionare così pesantemente i loro comportamenti futuri, bisogna chiedersi quindi se la situazione reale del nostro calcio non sia addirittura peggiore di quella che emerge dai numeri ufficiali. La speranza è che abbiano reagito per tempo e siano attrezzati a reggere l’urto dei prossimi due o tre anni.
Certo, sarebbe stato meglio non dover attendere un caso eclatante come quello del Parma per prendere provvedimenti. Ma ricordiamoci che questo non è solo un male italiano: tutto il mondo del calcio si sta muovendo in questa direzione perché ha scontato un lungo periodo vissuto ben oltre le proprie possibilità economiche e finanziarie. La stessa UEFA, che pure dovrebbe avere una visione di insieme di lungo periodo, si è mossa solo nel 2010 con il Fair Play Finanziario (che, tra l’altro, è entrato in vigore solo la scorsa stagione e non è ancora a regime).
http://www.ultimouomo.com/evitare-il-fallimento/
Che ne pensate?